La crisi dei microchip ha spinto i leader del settore della microelettronica a spostare la produzione, e hanno scelto l’Italia.
La casa di produzione di microchip STMicroelectronics ha deciso di costruire un nuovo impianto nella Brianza. Secondo le stime degli analisti sono state battute dai ricavi effettivi, e il periodo che sta per arrivare dovrebbe essere ancora roseo in termini di investimenti in Italia.
Jean-Marc Chery, presidente della multinazionale, è entusiasto su questo progetto, si ritiene molto ottimista sulle potenzialità del territorio italiano può offrire.
“La megafabbrica di Agrate Brianza e l’elettronica di potenza su carburo di silicio a Catania sono i progetti più rilevanti per l’Italia. Ma abbiamo programmi di assunzione importanti, più di 1.000 posizioni aperte, e stiamo per aprire un nuovo centro di ricerca e progettazione in Lombardia. Ad Agrate verranno lavorate fette di silicio da 300 millimetri di diametro, stiamo attrezzando l’impianto con i macchinari.
Entro il 2023 vi lavoreranno 400 persone. Cominceremo a produrre in volumi nell’ultima parte dell’anno e all’inizio del prossimo. Procederemo verso la capacità massima entro il quarto trimestre 2025. La produzione sarà largamente ma non esclusivamente concentrata su prodotti per auto e industrial. Il passaggio da 200 mm a 300 migliorerà la nostra efficienza manifatturiera e il margine lordo“, dichiara Chery al Sole 24 Ore.
Il presidente crede che la crisi dei chip sia legata perlopiù dallo squilibrio generato tra la domanda e l’offerta. La società non ha problemi ad affrontatore la crisi, è fiduciosa nel grande futuro che l’aspetta nel settore.
Infatti la STMicroelectronics ha un portafoglio ordini in grado di coprire almeno 6 o 8 trimestri di attività manifatturiera pianificata, a seconda del tipo di prodotto. Infatti la produzione è totalmente saturata, con una domanda automotive che resta molto forte.
Competitor asiatici e futuro italiano
Chery non è spaventato dalla competizione con i giganti asiatici nel settore dei chip, in particolare Cina e Taiwan. È convinto che la supremazia asiatica non sia in realtà così dominante, perché fino a oggi l’efficienza di sistema “è stata garantita”.
L’idea di fondo è che se l’Asia contribuisce alla produzione del 60% dei chip, sviluppo e ricerca sono principalmente negli Stati Uniti e in Europa. Applicare dazi, divieti e fomentare conflitti andrebbe contro la distribuzione globale del lavoro, qualunque essa sia.
Questa è una grande opportunità per l’Italia e suoi cittadini, offrendo nuovi posti di lavoro e occupazione per gli specialisti nel settore, non costretti a scapare all’estero per trovare opportunità del genere.
È anche un grande segnale per il mercato italiano, che nonostante il periodo di crisi scaturito dalla pandemia e dal rincaro prezzi sull’energia, si mostra ancora un territorio di interesse per gli investimenti esteri.