Un microchip per proteggere il Parmigiano Reggiano? Sembra incredibile, ma è la novità adottata dal colosso agroalimentare.
Quando gli alimenti si mescolano alla tecnologia, il formaggio diventa 2.0, l’agricoltura si colora di scientifico cyberpunk. È la storia di oggi; una storia di formaggi e ruote parmigiano, di microchip e tecnologia.
Il Parmigiano Reggiano, come tanti prodotti italiani, è tra i prodotti italiani maggiormente soggetti a contraffazioni e truffe di ogni genere; sono tanti – nella vecchia Europa, in sud America, nell’oriente – che tentano di contraffare i prodotti italiani. Imitazioni, prodotti (dis)simili, perfette riproduzioni con tanto di marchio. Spesso fabbricati con prodotti mediocri o tossici, riciclati con poco sforzo.
Onde contrastare questa concorrenza scorretta, il Parmigiano ha scelto di inserire un microchip all’ interno delle proprie ruote che attestano la loro autenticità. Non si deve immaginare un microchip di silicio e ferro, è infatti biodegradabile e teoricamente commestibile. Una soluzione per non cadere nell’inganno dei falsi.
La strana commistione tra tecnologia e formaggio è stata annunciata dal Wall Street Journal, il quale ha informato che si tratta di microchip essenzialmente recanti un numero di serie univoco, scansionabile dai rivenditori. In questo modo l’acquirente, se lo vuole, può controllare scanner alla mano se il suo è un ‘vero’ Parmigiano.
Com’è fatto il microchip del Parmigiano Reggiano, una tecnologia surreale
L’operazione è stata straordinariamente ingente; sono stati infatti ricevuti 100mila microchip, costruiti appositamente da un’azienda hi-tech statunitense. Non è pertanto ‘solo’ un codice, ma a tutti gli effetti un oggetto capace di resistere alle più forti sollecitazioni.
I microchip in questione hanno le dimensioni di un granello di sabbia, poco più che un pulviscolo; pertanto non presentano difficoltà a livello di accidentale digestione, sono del tutto commestibili. Non è l’unico formaggio sottoposto a tutela; troviamo anche il feta greco e la vaniglia francese. Una lotta contro le frodi che non conosce sosta.
La sperimentazione, avviata nel 2022, è l’ultima – e più ardita – frontiera della battaglia contro prodotti che ‘suonano’ italiani, ma sono spesso sudamericani, indiani, cinesi con un danno a livello di immagine e di introiti notevole. Basti considerare che incide per il 6% del PIL nazionale, con grandi danni ai posti di lavoro, ai profitti delle PMI e in generale dell’immagine di quel tanto favoleggiato ‘Made in Italy‘. Ora la guerra ‘alimentare’ si sposta sul versante tecnologico, persino nel formaggio.